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Alan Sorrenti

(Napoli, 9 dicembre 1950)
Nel 1977 «Figli delle stelle» fu uno shock: Alan Sorrenti, il freakkettone partenopeo-gallese che aveva incantato la generazione che sognava la rivoluzione con i suoi primi due lp di sperimentazioni vocali alla Tim Buckley/Shawn Phillips sembrava aver «venduto» l’anima al diavolo, rappresentato in quel fatidico anno dalla disco music.
 «Quella canzone fu croce e delizia della mia carriera, anche se quello che successe era nell'aria», ricorda ora il cantante, pacificato da anni di buddhismo: «Arrivava dopo un disco di transizione, come “Sienteme, it’s time to land”, dopo i fischi presi al Festival della gioventù studentesca di Licola del ‘75 dove venni sommerso dalle lattine. Per qualcuno ero troppo sperimentale, per altri troppo politico, io mi sentivo un esploratore, volevo andare oltre il progressive di “Aria” e “Come un vecchio incensiere all'alba di un villaggio deserto”».

Credits immagine: Courtesy Federico Vacalebre

Intanto c’era stato il successo di «Dicitencelle vuje», rimodernata in falsetto: «Ai corifei di Lenin, Marx e Mao anche riportare la canzone napoletana in classifica era sembrato un tradimento della causa. Mi piaceva lavorare sulle mie radici, sulla mia cultura. Ma anche guardare al mondo: ero stato in Nepal, ero tornato dall’Africa con registrazioni preziose e la voglia di aggiungere ritmo alle mie armonie vocali, ero pronto per l’America, terra promessa di noi rockettari della periferia del villaggio globale». O «pronipoti di sua maestà il danaro», per dirla con Battiato? 

Da cantaNapoli hippy al Los Angeles sound, con un riff di chitarra molto stile Chic e Earth, Wind & Fire: oltre un milione di copie vendute, primo posto in classifica scalzando l’Anna Oxa di «Un’emozione da poco» prima di essere a sua volta sorpassato dai Bee Gees di «Stayin’ alive». «Anche i fratelli Gibb erano accusati dall’intellighentia militante. Ma loro sono rimasti, come il mio singolo prodotto da Phil Ramone: chi si ricorda più dei nostri detrattori?».

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