Tra il boom economico e Na voce na chitarra e ’o poco ’e luna nasce il bainait napoletano. La dolce vita notturna all’ombra del Vesuvio con drinks, wisky, coktail, champagne e musica dal vivo con musicisti che, dopo essere entrati in contatto col jazz, anche grazie ai V-Disc, sperimentano forme di fusione tra matrici locali e quelle d’oltreoceano. Nel 1949 Renato Carosone insieme alla sua band, composta da Gegè Di Giacomo e dall’olandese Peter Van Wood, inaugura sul lungomare di Napoli lo Shaker, uno spazio prestigioso dalla lunga vita; altri nait sono il Lloyd, il Miramare e successivamente La mela. Mentre nelle isole del golfo sono attivi d’estate Il Pipistrello, Il Gatto Bianco e il Number Two a Capri; ’O rangio fellone, con la direzione artistica del cantautore Ugo Calise, nell’isola d’Ischia.
L’interprete ad hoc di questi luoghi necessita di una voce ’e nait, una vocalità da crooner come quella di Bing Crosby e Frank Sinatra, confidenziale e carezzevole diffusa da un microfono collegato alla cosiddetta “camera echo”, che amplifica le minime sfumature della grana vocale, dal respiro all’emissione piena, sussurrando all’orecchio degli ascoltatori mentre ne sfiorano sensualmente i corpi.
L’andamento preferito del nait è lo slow, il lento, che consente un contatto fisico col proprio partner, mentre si balla immersi nella penombra. La partitura emozionale di questa prossemica dei corpi prevede un graduale crescendo ben descritto dagli stessi testi delle canzoni che dalla carezza («Accarézzame!...Cu sti mmane vellutate» da Accarezzame ) passa all’abbraccio e al contatto («abbracciame, cchiù forte astrigneme» da Nun è peccato), fino al bacio («a vocca toia s’accosta cchiù vicina/e tu te strigne a mme cchiù appassionato» da Na voce na chitarra e ’o poco ’e luna).
Quest’atmosfera intima fa da contrappunto a momenti briosi a tempo di twist, beguine, boogie woogie.